Mestre. Sempre più scaltri, sempre più ingegnosi. Stiamo parlando dei venditori porta a porta, almeno di quelli che inducono l’interlocutore a firmare un contratto molto oneroso per acquisti di varia natura – soprattutto oggetti per la casa – presentandolo come un depliant non impegnativo a livello economico. Da sempre noi la chiamiamo la truffa del catalogo anche se il raggiro matura in un contesto apparentemente legale (la vittima, di fatto, appone la sua firma).
Ma cosa succede adesso? Semplice, i venditori o, meglio, le aziende per cui lavorano, hanno trovato un escamotage capace di ridurre l’efficacia delle azioni legali messe in campo per chiedere l’annullamento del contratto anche entro i termini di 14 giorni concessi dalla legge per esercitare il diritto di ripensamento.
Il trucco si concretizza “grazie” all’articolo 59, lettera c) del Codice del Consumo che elimina il diritto di recesso nelle ipotesi in cui il bene venduto sia stato fatto “su misura” o “personalizzato” in base alle scelte del cliente finale. Insomma, ora molti venditori propongono prodotti ad hoc per il cliente, con domande specifiche. “Ha un colore di suo gradimento?”, “vuole una particolare misura per il materasso?” e così via. La personalizzazione del prodotto limita le richieste di annullamento per le quali, dunque, è necessario prevedere ulteriori e più articolate azioni.
“L’escamotage nasce dall’esigenza di ridurre al minimo proprio le richieste di recesso anche entro i 14 giorni previsti dalla legge per l’annullamento dei contratti siglati al di fuori dei locali commerciali – commenta Carlo Garofolini, presidente dell’Adico -. Ricordiamo che i venditori utilizzano da sempre la stessa tecnica. Si presentano una prima volta inducendo la vittima a firmare il contratto presentato come depliant informativo e poi tornano ben oltre i 14 giorni per svelare al proprio interlocutore che quel depliant è invece un contratto per acquisti da alcune migliaia di euro. Con il nostro intervento negli anni abbiamo fatto cancellare centinaia di contratti. Sempre invitando i soci a non prendere mai in casa la merce proposta. Ora – prosegue Garofolini – al primo approccio, quando si fa firmare il catalogo, si chiede anche alla vittima come vorrebbe personalizzare eventualmente i prodotti e questi interventi su misura rappresentano un ostacolo per la richiesta di recesso proprio a causa della lettera C dell’articolo 59 del codice del Consumo”.