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LA POVERTA’ FA MALE QUASI QUANTO FUMO, OBESITA’ E DIABETE

Fumare tabacco, consumare alcool, una vita sedentaria, ipertensione, obesità e diabete. Sono sei tra i più importanti fattori di rischio per la salute umana, cui è arrivato però il momento di aggiungerne un altro. Ovvero vivere in condizioni sociali ed economiche di disagio. A sottolinearlo è uno studio condotto dai ricercatori di Lifepath, un progetto finanziato dalla Commissione Europea con lo scopo, per l’appunto, di individuare i meccanismi biologici alla base delle differenze sociali della salute. Come raccontano sulle pagine della prestigiosa rivista Lancet, gli autori dello studio hanno comparato l’effetto sulla salute di un basso status socioeconomico con quello di altri fattori di rischio conclamati, scoprendo, per l’appunto, che avere un basso profilo professionale accorcia la vita, in media, di oltre due anni. Quasi quanto fumare, soffrire di diabete o praticare poca attività fisica, che rosicchiano rispettivamente 4,8, 3,9 e 2,4 anni di vita.

Lo studio. Gli autori del lavoro hanno messo insieme i dati relativi a 48 coorti (sia raccolti direttamente nell’ambito del progetto Lifepath che liberamente disponibili da banche dati pubbliche), relativi a quasi due milioni di persone da sette diversi Paesi, Regno Unito, Italia, Portogallo, Stati Uniti, Australia, Svizzera e Francia. I partecipanti, seguiti per una media di tredici anni, sono stati classificati in base al proprio stato occupazionale (seguendo il quadro europeo delle qualifiche), utilizzato come indicatore dello status socioeconomico. Informazioni che sono state poi messe in correlazione con lo stato di salute dei partecipanti e opportunamente confrontate con quelle relative a sei tra i fattori di rischio (fumo di tabacco, consumo di alcool, scarsa attività fisica, ipertensione, obesità, diabete) inclusi in “25×25”, il piano strategico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha l’obiettivo di ridurre del 25% la mortalità per malattie non trasmissibili entro il 2025.

I risultati. “Il fatto che un basso status socioeconomico fosse correlato a una maggiore mortalità era noto da tempo alla comunità scientifica – spiega Silvia Stringhini, coordinatrice dello studio ed epidemiologa all’Ospedale Universitario di Losanna – . Tuttavia, il nostro lavoro è stato il primo a confrontare questo parametro con gli altri grandi fattori di rischio, mostrando quantitativamente che vivere in condizioni sociali ed economiche povere diminuisce di oltre due anni l’aspettativa di vita, quasi la metà di quanto non faccia il tabacco e più del consumo elevato di alcool”. I dati sono confermati dalla stima della cosiddetta prevalenza attribuibile a un fattore di rischio, un indicatore che misura quanto la mortalità (o una data malattia) sono influenzate da un dato fenomeno: un basso status sociale ed economico, in particolare, aumenta del 20% il rischio di mortalità prematura negli uomini, appena il 10% in meno del tabacco e molto più di diabete, consumo di alcool e ipertensione.

Il rischio relativo. È opportuno precisare che, nello studio, i fattori di rischio sono stati valutati in maniera indipendente, cioè senza considerare eventuali mutue correlazioni (ovvero, in altre parole: è più probabile che chi viva in condizioni socioeconomiche svantaggiate abbia uno stile di vita meno salutare). Ma anche tenendo opportunamente conto di questo fenomeno, il legame tra basso stato socioeconomico e mortalità precoce continua a essere presente: “L’analisi effettuata ‘aggiustando’ la mortalità con gli altri fattori di rischio” – spiega ancora Stringhini – ha mostrato che chi vive in condizioni socioeconomiche precarie continua a soffrire, comunque, del 30% in più di rischio relativo rispetto agli altri”. Il motivo, molto probabilmente, sta nel fatto che un basso status sociale ed economico ‘nasconde’ anche altri fattori di rischio, come maggiore esposizione a stress, peggiori condizioni nell’infanzia e condizioni ambientali più deleterie.

L’appello ai decisori. Commentando i risultati dello studio, gli autori sottolineano come, nonostante il fatto che un basso livello socioeconomico possa essere un efficace indicatore di un calo nell’aspettativa di vita, i governi “spesso non lo considerano fra i fattori da prendere di mira con interventi specifici. Le condizioni socioeconomiche e le loro conseguenze sono modificabili tramite politiche a livello locale, nazionale e internazionale. Intervenire su fattori ‘a monte’, come il lavoro o l’educazione infantile, può avere una maggiore efficacia, in termini di miglioramento della salute, rispetto a interventi ‘a valle’, focalizzati su singoli fattori di rischio come l’assistenza per chi vuol smettere di fumare o i consigli alimentari. Che sono importanti, questo sì, ma tendono anche a favorire le fasce sociali più alte, che possono accedervi più facilmente e che hanno meno difficoltà nel correggere eventuali abitudini poco salutari”.

Fonte: La Repubblica

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